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Draghi: «Smettete di vaccinare psicologi di 35 anni.»

Facciamo un po’ di chiarezza, che è sempre utile per tutti.

Lo psicologo è dal 2018 un professionista sanitario, ragione per cui, per fare un esempio terra terra, è possibile scaricare il 19% della sua fattura. Cosa ci rende una professione sanitaria? Il fatto che ci viene riconosciuto che svolgiamoattività di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione” (Ministero della Salute).

Nel momento in cui il Governo ha cominciato a programmare il piano vaccinale anti Covid-19 è stato valutato se creare dei “gruppi target”, ovvero delle categorie di individui che dovessero avere una priorità nella somministrazione del vaccino. Tali erano sicuramente le persone con vulnerabilità (legata ad età o stato di salute precario), ma anche delle categorie professionali che lavorano a stretto contatto prolungato con altri individui, e che quindi, pur non essendo in fascia di età di particolare vulnerabilità, potevano diventare vettore del virus e origine di focolai. Il contagio può essere quindi diffuso da un professionista sanitario anche tra popolazioni vulnerabili o che, per casi particolari, non potessero a loro volta ricevere la vaccinazione (pensiamo ai professionisti che lavorano nei reparti oncologici, con pazienti immunodepressi, ecc). Per tale motivo le professioni sanitarie (che sono più di 30 e includono medici e infermieri) sono state inserite tra gli individui da vaccinare con priorità. Questa priorità non è stata però decisa dagli Ordini professionali o dal singolo professionista, ma dalle autorità preposte, ovvero da ATS e Regioni, sempre in linea con le indicazioni governative (il ministero della Salute in collaborazione con la struttura del Commissario Straordinario per l’emergenza COVID, AIFA, ISS e AGENAS1). Per tale motivo anche a noi professionisti della salute mentale è stata data l’opportunità di accedere alla vaccinazione.

Non siamo andati al Centro Vaccinale sgomitando e saltando la fila, perché è questa l’immagine che si è visualizzata nelle menti di molti italiani dopo aver ascoltato le frasi espresse ieri dal Presidente Draghi. Siamo stati convocati e abbiamo potuto scegliere se aderire o no alla campagna, anzi, siamo stati caldamente spronati, per etica sociale e responsabilità verso i pazienti di cui ci facciamo carico.

Il nostro lavoro non sempre si può svolgere online, non sempre si riesce a mantenere la social distancing (pensiamo al lavoro con i bambini, che sotto i 6 anni sono privi di mascherina), non sempre riusciamo a rendere il nostro apporto efficace, rispettando tutte le necessarie norme per il contenimento della diffusione della pandemia. E allora perché non limitare questi rischi (siamo consapevoli che possiamo essere comunque vettori del virus, ma il rischio è inferiore con la vaccinazione) accettando l’opportunità di essere vaccinati?

Non abbiamo deciso noi se questa priorità dovesse addirittura scavalcare le liste degli over 80.

Non abbiamo potuto decidere di rinviare il nostro vaccino, perché non sapevano se avremmo avuto una “seconda possibilità”.

A ciò va ad aggiungersi il fatto che dalla scorsa settimana è entrato in vigore addirittura l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie (D.L. 1 aprile 2021, n.44). Ne consegue che il Governo ha stabilito che un professionista sanitario non può rifiutare la vaccinazione, pena la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio.

Lasciamo a voi le considerazioni su queste incongruenze.

Tuttavia vogliamo condividere una riflessione: sembra quasi essere messa in dubbio la liceità dell’appartenenza della categoria degli psicologi alle professioni sanitarie, quasi fossimo una categoria “imbucata” per ottenere qualche tipo di beneficio indiretto. Ma davvero consideriamo la salute mentale così poco significativa da finire in fondo alla lista delle proprie priorità? Ci fa sbigottire il messaggio che leggiamo tra le righe, come se il potersi permettere di chiedere aiuto per un disagio psicologico corrisponda quasi a volersi concedere un vizio, il vezzo di una persona, un “di più”.

Così, ci piacerebbe poterlo far presente al Presidente, diciamo ai nostri giovani (che per fortuna finalmente invece stanno muovendosi, chiedendo aiuto, sforzandosi di guardare in faccia il proprio malessere, cercando un aiuto psicologico) che si stanno rivolgendo a degli approfittatori, rinverdendo lo stereotipo tutto italiano dello psicologo come figura sostituibile, non fondamentale, poco utile, con ricadute ad effetto domino sulla credibilità della nostra professione, che stiamo faticosamente costruendo facendo parlare il nostro lavoro e i risultati.

Non in ultimo, stiamo dicendo agli italiani che, data la situazione pandemica, potrebbero fare a meno dell’aiuto dello psicologo, perché, alla fine, c’è la pandemia e ci sono dei bisogni “più pressanti”.

Speriamo davvero che le decine di chiamate che riceviamo settimanalmente (segnale di un cambio di rotta rispetto alla paura e poca stima che per decenni hanno contraddistinto la nostra categoria), possano smentire questi nostri timori, resta l’amaro in bocca per una occasione in cui sentiamo di essere capro espiatorio di malfunzionamenti, le cui cause sono da cercare altrove.

Guardiamo il dolore, il malessere e la fatica che ci portano i nostri pazienti dopo questo anno assurdo. Guardiamo quello che ci portiamo a casa dopo i colloqui e per cui non chiudiamo occhio la notte. Sentiamo la responsabilità dei sorrisi dei bambini che vediamo in terapia. E ringraziamo chi di noi si fida, senza aggiungere altro.

Chiara Lo Curto

Psicologa Psicoterapeuta

Cristina Battista

Psicologa Psicoterapeuta

1 Fonte: sito Ministero della Salute

(http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=5319)